17.07.2024

Le recenti riforme in materia di adeguati assetti organizzativi, l’introduzione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e l’aumento dell’importanza delle strategie di sostenibilità in ambito ESG, promosse anche dalle normative europee (come la Direttiva 2022/2464/UE – CSRD), hanno messo in luce la necessità per le aziende di dotarsi di strumenti di governance in grado di prevenire le crisi, gestire i rischi e orientare la gestione verso attività che generano valore non solo per gli azionisti, ma anche per gli stakeholder e la società nel suo complesso.

Il documento sviluppato dal “Gruppo interdisciplinare ESG-231”, istituito nelle aree di delega “Sviluppo sostenibile (reporting, consulenza, formazione)” e “Compliance e modelli organizzativi delle imprese” del consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili approfondisce le numerose relazioni intercorrenti tra “Sistema 231” e “Sistema ESG”, con particolare riguardo all’impatto dei fattori Environment, Social e Governance sul modello organizzativo previsto dal d.lgs. 231/2001, verificandone le potenzialità in termini di compliance integrata richiamando brevemente i SDGs così come si legge nel documento  -  “appare evidente che i fattori ESG e il modello 231 svolgono un ruolo cruciale nel processo di aggregazione tra compliance e sostenibilità. A tal fine, giova richiamare brevemente anche i succitati SDGs (Sustainable Development Goals), che rappresentano gli obiettivi concordati per il 2030 dagli Stati membri delle Nazioni Unite nell’ambito dell’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile. Gli SDGs si estrinsecano in 17 macro-obiettivi e 169 target, individuati dall’ONU per poter raggiungere lo sviluppo sostenibile entro il 2030, e sono concentrati intorno alle cosiddette 5 P: persone, prosperità, pace, partnership e pianeta. Alla base dell’Agenda 2030, le Nazioni Unite definiscono lo Sviluppo Sostenibile come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni”.

L’obiettivo finale è, pertanto, quello di diffondere una maggiore consapevolezza in merito alla potenzialità dei predetti strumenti e delle attività di compliance normativa, quando “naturalmente” integrate nella ordinaria gestione dell’impresa, fornendo in tal modo strumenti operativi ai professionisti che, sempre più numerosi, si approcciano alla consulenza nell’ambito 231 e in quello della sostenibilità.

16.07.2024

Con la sentenza 10578-23 la Corte era chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato nell'interesse di una società che, dopo aver impugnato l'interdittiva dinanzi al giudice amministrativo, aveva adottato un Modello di Gestione, Organizzazione, e Controllo ex d.lgs. n. 231 del 2001 - nominando un Organismo di Vigilanza ai sensi del medesimo Decreto - e aveva interrotto i rapporti commerciali in essere con le altre società attinte della misura.

Si legge nella sentenza "come già osservato in un precedente arresto (Sez. I n. 31831 del 22.4.2021; v. anche Sez. VI n. 18265 del 31.3.2022), il condizionamento stabile dell' attività di impresa, in caso di familiari non conviventi ritenuti portatori di pericolosità, non può essere affidato alla presunzione semplice derivante dalla contiguità familiare" e, pertanto, la pronuncia con cui la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato  che le relazioni parentali tra soci o gestori della società raggiunta da informazione interdittiva e soggetti, non conviventi, portatori di pericolosità possono comportare il rigetto della richiesta solo ove sussistano ulteriori elementi indicativi dell'influenza dei soggetti pericolosi sulle scelte e sugli indirizzi dell'impresa.

 

10.05.2024 

La reputazione aziendale, pur rientrando tra gli asset intangibili dell’impresa, ha ritorni non soltanto tangibili, ma anche misurabili e consistenti dato che possono generare un 10% di ritorno sull’ investimento così come dimostrato in una ricerca condotta da Mediobanca e Cineas, il Consorzio universitario del Politecnico di Milano. L’Osservatorio sul risk management prende in considerazione 277 imprese familiari italiane in rappresentanza di 2600 medie imprese manifatturiere, con fatturati tra 20 e 355 milioni di euro e da 50 a 499 dipendenti. L’analisi ha l’obiettivo di capire se e come queste aziende gestiscono i rischi, quali rischi prendono in considerazione, con quali priorità e con quali esiti in termini di risultati aziendali. La sorpresa è qui: le imprese dotate di un sistema strutturato di risk management ottengono profitti di oltre il 30% superiori rispetto alle altre. Quindi, la gestione dei rischi non ha soltanto un valore industriale, volto a salvaguardare gli investimenti e la continuità aziendale, ma può anche generare un ritorno finanziario significativo. Possiamo pertanto affermare che gestire i rischi vale il 30% del ROI, valore tutt’altro che trascurabile. Secondo Gabriele Barbaresco, autore della ricerca e direttore dell’ufficio studi Mediobanca emerge una correlazione chiara tra la gestione dei rischi e la redditività aziendale… anche se non è provata la causalità tra la gestione dei rischi e una redditività migliore. Potrebbe anche essere che le imprese con una migliore redditività abbiano anche una maggiore attenzione alla gestione dei rischi Il caso della reputazione poi è peculiare perchè non riguarda i processi aziendali né gli obblighi normativi su cui da sempre si concentra l’attenzione delle imprese. La percezione del rischio da parte degli imprenditori varia sensibilmente in funzione della tipologia di attività dell’azienda e del settore operante.

Il punto chiave è che le imprese dotate di strumenti manageriali evoluti ricorrono a modelli di risk management che non si limitano ad analizzare dati probabilistici e serie storiche di accadimenti possibili ma si spingono a immaginare rischi non tradizionali o che possono nascere da situazioni non predeterminabili. Un modo per evocare i cosiddetti cigni neri, che Nassim Taleb ci ricorda essere eventi a bassissima probabilità ma con un impatto potenzialmente devastante. Secondo la ricerca in analisi il 60% delle aziende analizzate ha un sito aggiornato, ottimizzato e utilizza il web ai fini commerciali. Il nome di queste aziende arriva a un numero di contatti inimmaginabile e, in caso di situazioni o incidenti che compromettano la credibilità dell’azienda, tutti questi contatti rischiano di diventare nostri nemici o giudici, di prendere le distanze da noi o di diventare addirittura attivisti per la messa al bando del nostro brand, così come si evince da uno dei più risonanti casi di cronaca nei confronti di un’azienda gestita da un noto personaggio pubblico la cui reputazione è stata altamente compromessa. Il rapporto Aon 2017 sulla gestione del rischio nelle aziende, stima che una società quotata in borsa possa perdere almeno il 20% del proprio valore azionario in caso di danni di immagine consistenti. Mentre la rivista specializzata Reputation Management rileva che l’80% degli utenti e-commerce dichiara di non fare acquisti presso esercenti con recensioni negative.

Se questo è il conto da pagare, è indubbiamente preferibile agire d’anticipo, affrontare quest’area di rischio in ottica strategica e adottare una politica di prevenzione dei rischi reputazionali servendosi del sostegno di specialisti del settore.

 

Domenico Posca - Luisa Polito

Modelli organizzativi 231

24.05.2024

Nella recente sentenza n 1070/2024, depositata lo scorso 22 aprile, il Tribunale di Milano – sezione seconda penale, presenta una serie di importanti indicazioni in merito ai requisiti necessari per consentire l’operatività della funzione esimente della responsabilità amministrativa dell’ente derivante dalla preventiva adozione di un adeguato Modello Organizzativo 231.

Il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità 231 di una società, imputata per non aver adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione dei delitti di false comunicazioni sociali contestati ad elementi apicali della società stessa. I giudici, esaminato il caso, hanno ritenuto che l’attività di risk assessment era stata certamente posta in essere dalla società, anche per tramite del proprio OdV, come si evince dai verbali dell’ organo di vigilanza richiamati in sentenza e pertanto, la società aveva comunque adottato formalmente un complesso e dettagliato modello organizzativo 231 caratterizzato dalla presenza di procedure specifiche di prevenzione dei reati, che hanno consentito al consulente del PM di ritenere tale modello idoneo ed efficace.

Sicchè, tenuto conto della valutazione positiva circa l’idoneità del Modello Organizzativo a prevenire reati della specie di quelli verificatisi e, esaminato il profilo dell’eventuale elusione fraudolenta del Modello da parte di figure manageriali aventi potere gestorio, ritenevano provato nel caso in esame il fenomeno del c.d. management override, che consiste in uno scenario in cui il comportamento aziendale diviene forzatamente improntato alla sistemica violazione ed aggiramento fraudolento di ogni regola e procedura e che qualsiasi modello organizzativo, seppur adeguato ed efficacemente attuato, non sarebbe in grado di evitare comportamenti elusivi e manipolatori. Per tanto detto, il Tribunale di Milano ha assolto la società per insussistenza dell’illecito amministrativo visto l’art. 544, co.3, c.p.p.

Le indicazioni date dal Tribunale di Milano a riguardo si possono riassumere suddividendole per tematica: una parte generale e una parte speciale.

La parte generale individua la fisionomia strutturale e organizzativa del sistema 231 e dovrebbe contenere al suo interno il codice etico, le linee dell’attività di informazione e formazione sul modello e sui protocolli di prevenzione, le modalità di scoperta delle violazioni, il sistema disciplinare sul quale il tribunale compie una riflessione sul sistema riflessione e suggerisce che un efficace azione di contrasto potrebbe consistere nell’applicazione di sanzioni che implichino la decurtazione su una parte variabile dello stipendio, così da scoraggiare pratiche o comportamenti non conformi alle disposizioni contenute nei protocolli operativi, previsione e disciplina dell’Organismo di Vigilanza su cui il tribunale sottolinea l’importanza del suo “funzionamento costante nel tempo ed in continua interazione con gli organismi amministrativi e di controllo della società” e ne esalta sul piano funzionale la caratteristica fortemente necessaria “di autonomia, espressione di effettivi ed incisivi poteri di ispezione e vigilanza che conferiscono all’ OdV una funzione di controllo proattiva potendo lo stesso attivarsi, motu proprio, per prevenire possibili violazioni”.

La parte speciale caratterizzata dall’individuazione delle attività esposte in misura maggiore al rischio-reato e alla formalizzazione del contenuto delle cautele preventive alla commissione di reati dovrebbe, invece, essere composta dalla descrizione della struttura dei reati con un costante aggiornamento, mappatura delle attività di rischio ovvero il cosiddetto Risk assessment, principi generali di comportamento, protocolli di comportamento i quali devono rappresentare cautele puntuali, concrete ed orientate sul rischio da contenere.

Il Tribunale cerca di colmare le lacune lasciate dal D.lgs. 231/01 e fornisce un vero e proprio manuale riportante le istruzioni operative relative alla struttura e al contenuto minimo che il Modello Organizzativo dovrebbe avere per potersi ritenere idoneo a prevenire la commissione di reati e, pertanto, capace di rendere esente l’ente dalla relativa responsabilità amministrativa fornendo, pertanto, ad aziende e professionisti del settore un vero e proprio manuale contenente preziose ed esclusive istruzioni sulla predisposizione dello stesso e, ancora una volta, sottolinea l’importanza dell’organizzazione aziendale.

Tutela Reputazionale

29.04.2024

La reputazione aziendale corrisponde alla percezione che le persone hanno di una data azienda sulla base di ciò che l’organizzazione fa (o non fa). La Corporate Reputation diventa per gli stakeholder la rappresentazione della qualità dell’azienda e ne costituisce, se positiva, un elemento di differenziazione rispetto alla concorrenza. Pertanto, rappresenta un asset strategico in grado di generare rendite e vantaggi competitivi di notevole importanza, che si traducono in un significativo miglioramento delle performance aziendali, in particolare quelle di natura finanziaria e di tipo sociale. Essa consente all’impresa di migliorare la percezione della qualità dei beni e dei servizi, di stabilire un premium price, influenzare decisioni di acquisto dei consumatori e, conseguentemente, accrescere la propria quota di mercato, fidelizzare i consumatori acquisiti, ridurre i costi di vendita, attrarre risorse migliori (una corporate che gode di un’ottima reputazione sarà sicuramente più attrattiva per un talento in cerca di occupazione in grado di produrre ulteriore valore aggiunto) , godere di una più ampia e frequente presenza sui mass media e, infine, creare un forte goodwill che la protegga in caso di crisi e la valorizzi in caso di cessione o di acquisizione.

Possiamo definire la reputazione aziendale come un asset dinamico e intangibile che, assieme alla customer satisfaction, impatta in maniera significativa sull’andamento dell’azienda, ponendosi come principale componente del vantaggio competitivo. La correlazione tra reputazione e performance è quindi reciproca: la reputazione impatta positivamente sulle performance finanziare e queste a loro volta sulla reputazione.

Sebbene la reputazione sia un bene immateriale, il danneggiamento produce degli effetti tangibili e quantificabili soprattutto sotto il profilo economico: incorrere in un rischio reputazionale può compromettere oltre che la credibilità sociale, talvolta irrimediabilmente, anche la competitività e l’affidabilità relativa ai prodotti e i servizi di un’attività economica. Di fondamentale importanza tra i fattori che possono incidere sul danneggiamento evidenziamo la corruzione e i tentativi di infiltrazione criminale i quali possono verificarsi mediante metodi subdoli, comportamenti collusivi e abuso di posizione dominante in alcuni settori particolarmente strategici.

Secondo una relazione fornita da ANAC, tra il 2015 e il 2022 le interdittive antimafia comunicate al Casellario sono costantemente aumentate, quasi triplicate, con aumento maggiore soprattutto rispetto al numero di procedure bandite e del totale delle imprese attive, che per di più si è lievemente ridotto. Il numero delle imprese interdette è passato da circa una ogni 14.000 del 2015 a una ogni 4.500 del 2022. Nel 2015 avevamo una impresa interdetta al giorno, nel 2022 più di tre.

Seppur un numero così elevato di interdittive antimafia dimostri uno sforzo per far fronte al fenomeno, rappresenta anche un campanello di allarme significante in ragione dell’ampiezza del fenomeno così dilagante, il quale assume forme nuove, sempre più difficili da identificare e contrastare efficacemente. Il contrasto alla corruzione, finora limitato a sanzionare specifiche condotte individuali, per essere realmente efficace dovrebbe concentrarsi su questioni preliminari, aspetti organizzativi, regolazione e procedimentalizza­zione di specifiche attività. Considerati i notevoli vantaggi economici di una buona reputazione, le aziende sono dunque chiamate ad effettuare tutti gli sforzi necessari affinché la loro immagine non venga compromessa e, anzi, punti a promuovere programmi volti alla prevenzione della stessa. Da tutto questo si evince che la reputazione va costantemente coltivata e riaffermata. Citando una ormai celebre frase del noto finanziere, “the Legendary Investor” Warren Buffet: “Ci vogliono vent'anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso”. 

Si è da tempo consolidata l’idea che la reputazione aziendale sia un asset strategico da gestire in modo consapevole al fine di accrescere la creazione di valore. Proprio in quanto asset strategico, la reputazione rappresenta anche un’eventuale area di rischio. Ovviamente nulla si improvvisa, ma tanto si pianifica: le strategie per migliorare e gestire la reputazione aziendale vanno strutturate, pianificate e coordinate da specialisti del settore.

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